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Uno sguardo sulla certificazione THX

La necessità di creare degli standard comuni per quanto riguarda la valutazione della qualità nella riproduzione di flussi audio e video, ha posto numerose sfide all’industria del cinema e della musica, finché all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, il marchio THX ha fatto la sua apparizione sul mercato con quel tipo di obiettivo.

Lanciato in maniera ufficiale nel 1982 dall’azienda Lucasfilm, la famosa holding di George Lucas, THX è subito diventato un punto di riferimento per i sistemi audiovisivi, tanto quelli di tipo professionale quanto quelli invece destinati al mercato consumer, fissando dei criteri di qualità per la multimedialità.

In diverse occasioni, poi, il marchio THX ha avuto un ruolo pionieristico nell’introdurre dei requisiti tali da imporre delle modifiche per la decodifica di tipo multicanale, creando le basi per spingere l’industria del settore verso l’ammodernamento costante e spingendo così le persone a ritenere THX sinonimo di qualità audiovisiva.

Nel momento in cui è nato, THX – Tomlinson Holman Xperiment, cioè letteralmente “l’esperimento di Tomlinson Holman”, l’ingegnere responsabile del progetto – era il nome del tentativo di andare a creare una sala cinematografica all’avanguardia da parte dello stesso George Lucas.

Grazie ai risultati ottenuti, lo stesso Lucas decise poi di farlo diventare un’iniziativa imprenditoriale volta a permettere agli utenti di poter assistere alle proiezioni audiovisive e cogliere ogni sfumatura dell’opera riprodotta in modo fedele, senza che la stessa si allontanasse – a causa dei limiti tecnologici – dalle scelte dell’artista.

Il marchio THX è quindi diventato un punto di riferimento per gli studi in cui si producono le opere, le sale cinematografiche, nonché anche a livello di prodotti software ed hardware atti alla riproduzione degli stessi (home theatre, PC, impianti audio per l’auto), fissando dei requisiti ben precisi.

Tra questi, si trovano per esempio indicazioni sull’ambiente (isolamento acustico, illuminazione, arredo per far accomodare l’utente) nonché sulla tecnologia (schermi 16:9, rapporti aspect ratio, contrasti cromatici corretti, proporzioni corrette per una fruizione spettacolare anche dal punto di vista qualitativo) impiegata.

Non mancano poi nemmeno indicazioni a livello di angoli di visuale dello spettatore, o ancora, sul posizionamento degli altoparlanti e i livelli di pressione sonora, con subwoofer, surround nonché equalizzazioni perfette, e una cura dei dettagli della posizione spaziale dei suoni (riproduzione da altoparlanti posteriori ed anteriori), per una esperienza tridimensionale e coinvolgente.

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Le differenze tra le risoluzioni display 4K, HD, Full HD

Nel mondo digitale, si sente spesso parlare di schermi di tecnologie differenti e, soprattutto, contraddistinti da caratteristiche molto diverse: al di là delle dimensioni fisiche, infatti, sono altri parametri di questi apparecchi a fare la distinzione tra un certo tipo di schermo, soprattutto in termini qualitativi.

Non è detto, infatti, che degli schermi di dimensioni maggiori offrano in questo senso rappresentazioni grafiche migliori: è infatti il tipo di risoluzione a determinare la possibilità di rappresentare in maniera più dettagliata un’immagine o un video, con un numero più elevato e una densità maggiore di pixel.

Nel corso degli ultimi anni, gli standard di risoluzione che si sono imposti sul mercato – e di cui si sente parlare spesso – sono quelli dell’HD, del Full HD o 4K: li abbiamo elencati in questo ordine, proprio perché rappresentano in modo crescente l’evoluzione della risoluzione nell’ambito dei display utilizzati per dispositivi elettronici.

La risoluzione HD, contraddistinta dal rapporto 16:9 (1,78:1) e da una profondità in colori da 24 milioni, nonché da una frequenza di fotogrammi pari a 50-60 al secondo, si contraddistingue per offrire il supporto a fotogrammi da 1280×720 (il più famoso), 1360×768 e 1366×768 pixel. Lo standard video è conosciuto come 720p.

Anche nel caso della risoluzione Full HD, il rapporto è del tipo 16:9 (1,78:1), la profondità dei colori è sempre pari a 24 milioni, la frequenza dei fotogrammi per secondo si situa tra i 50-60: tuttavia, lo standard video (noto anche come 1080p) è in questo caso unico, essendo la risoluzione pari a 1920×1080 pixel.

Infine, la risoluzione 4K rappresenta un ulteriore passo avanti in termini di formato: con un rapporto di 1,89:1, una profondità di colori a 48 milioni e un numero di fotogrammi per secondo pari a 24, questo standard video è pari a 4096x2160pixel, utilizzato principalmente in ambito cinematografico.

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Una panoramica sugli schermi Black Diamond

Uno dei problemi che si riscontra frequentemente nella riproduzione di contenuti video su tanti supporti, è l’efficacia del contrasto nei colori e, in particolar modo, nella consistenza del nero, che spesso non è “assoluto” come si vorrebbe, soprattutto all’interno di ambienti che si possono ritenere fin troppo luminosi.

Gli appassionati di home cinema conoscono bene questo problema e, coloro i quali sono ben informati sugli ultimi sviluppi della tecnologia, magari hanno già sentito parlare a più riprese di schermi Black Diamond: ma che cosa sono? Quali standard qualitativi possono offrire durante la riproduzione di contenuto video?

Gli schermi Black Diamond vi offrono prima di tutto un elevato contrasto, grazie al telo realizzato con 7 diversi strati per il filtraggio e la polarizzazione: il risultato di questa tecnica costruttiva, si può sintetizzare nel respingimento della luce indesiderata dell’ambiente e nella riflessione della luce del proiettore.

In questo modo, si risolve un problema fondamentale – come quello del riflesso all’interno di un ambiente – senza dover intervenire sulla stanza, in modo particolare su pareti e soffitti, i quali vengono generalmente trattati per impedire che luci estranee a quella del proiettore possano rovinare la qualità dell’immagine proiettata.

Gli schermi Black Diamond godono anche delle certificazioni di tipo 3D e 4K, due standard cinematografici che sono sempre più richiesti da parte del pubblico cinefilo, soprattutto per quello più esigente, che non vuole rinunciare al piacere offerto da una proiezione video contraddistinta da elevati standard qualitativi.

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Che cosa sono i processori Lumagen

Diamo oggi un ulteriore sguardo sul mondo dei prodotti dedicati agli amanti dell’home cinema, prendendo in considerazione la soluzione tecnologica di un’azienda americana che, in poco più di dieci anni di vita, ha saputo proporre qualche cosa di veramente innovativo: stiamo parlando dei video processori Lumagen.

Quelli che a prima vista potrebbero sembrare dei normalissimi e comunissimi proiettori, in realtà, sono degli apparecchi contraddistinti da una potenza di calcolo notevole, che permette loro di eccellere in un ambito delicatissimo, per quanto riguarda l’esperienza home cinema: il ridimensionamento (scaling) delle immagini.

Questa operazione, infatti, spesso comporta uno sforzo notevole della macchina e, d’altro canto, presuppone anche la stessa operi sulla base di un algoritmo sufficientemente potente per assicurare una riproduzione dettagliata e fedele delle immagini, evitando che si manifestino fenomeni negativi quali il rumore,…

A questo proposito, vi basta prendere in considerazione quelli che sono gli standard attuali del mercato in termini di risoluzione, vale a dire 4K (4096×2160 pixel) e Ultra HD (3840×2160), per rendervi conto di quanta potenza sia necessaria, in una macchina affinché i fotogrammi siano resi in maniera impeccabile durante la proiezione.

I proiettori Lumagen di ultima generazione, e che quindi supportano la standard 4K, sono dotati appunto di un sistema basato su algoritmi sviluppati ad hoc, denominati No-Ring Scaling 4K, che consentono di ottenere performance nettamente superiori in rapporto a qualunque televisore 4K o altri tipi di proiettori.

Grazie allo standard di calibrazione CMS di tipo ISF (standard professionale cinematografico), che ricorre al potenziale del sistema Cube Calibration 19-19-19, i videoprocessori Lumagen esprimono al massimo la qualità cromatica, offrendovi un’esperienza cinematografica tra le mura di casa.

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Le differenze tra realtà virtuale e realtà aumentata

Si sente parlare, sempre più spesso, di realtà aumentata e di realtà virtuale, con questi due concetti che vengono associati ad ambiti differenti: ma quali sono, a questo proposito, le differenze che si possono individuare tra la realtà aumentata e la realtà virtuale, soprattutto per quanto riguarda l’esperienza dell’utente finale?

Prendiamo subito in esame quello che è il concetto di realtà aumentata, spesso anche abbreviato con la sigla inglese AR: lo stesso si riferisce essenzialmente a quelle soluzioni che permettono di fornire informazioni aggiuntive a quella che sarebbe la nostra normale percezione della realtà che si trova attorno a noi.

L’esempio classico di quella che può essere la realtà aumentata, è rappresentato dall’aggiunta, attraverso dei dispositivi tecnologici ad hoc (fissi, mobili o indossabili) di informazioni di tipo video e audio, o ancora, di rappresentazioni tridimensionali o scritte, che vanno così a sovrapporsi a quella che è la realtà “normale”.

Una visita all’interno di un museo in cui sono presenti dei reperti, o ancora, un tour negli scavi archeologici, può essere reso più avvincente per il visitatore proponendogli di indossare degli speciali occhiali, le cui lenti possano far comparire delle scritte o immagini didascaliche, facilitando così l’esperienza didattica in loco.

Nel caso invece della realtà virtuale, il risultato dell’interazione tecnologica è ben differente: ciò che si va infatti ad aggiungere (o sottrarre), crea una distorsione tale del contesto che la percezione sensoriale induce la persona a ritenere di trovarsi davvero in un contesto differente, quasi in una dimensione parallela.

In conclusione, si può quindi affermare che nel caso della realtà aumentata, ciò che si offre alla persona attraverso la tecnologia, è un sostegno che aumenta la percezione sensoriale, e invece, nel caso della realtà virtuale, si arriva ad modificare la percezione offerta dai sensi.

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Le differenze tra impianti audio 2.1, 5.1, 7.1, Dolby e DTS

Ciò che rende l’esperienza audio avvincente, al di là del livello qualitativo del materiale riprodotto, è sicuramente la capacità di coinvolgere l’ascoltatore con sorgenti sonore posizionate bene, in grado di stimolare l’ascolto e, soprattutto in ambito cinematografico, ricreando anche le normali caratteristiche direzionali del suono.

La capacità tecnologica di migliorare la percezione nello spazio dei fenomeni sonori, a partire dall’introduzione della stereofonia, ha conosciuto un importante progresso, con lo sviluppo di sistemi sempre più complessi e potenti, che prevedono l’utilizzo di più altoparlanti, secondo gli schemi che vedremo qui di seguito.

La prima evoluzione dei sistemi sonori, è rappresentata dal sistema 2.1: alla classica copia di altoparlanti, va ad aggiungersi il subwoofer, un diffusore dedicato essenzialmente alla riproduzione delle basse frequenze, che rende più entusiasmante l’ascolto di musica in cui i bassi hanno una parte preponderante.

Il sistema audio 5.1 rappresenta invece un passo avanti più deciso: ai due altoparlanti frontali ed al subwoofer, si aggiungono un altoparlante frontale centrale e due posteriori, con i quali vengono riprodotti attraverso tutti questi canali aggiuntivi quegli effetti che nel panorama sonoro provengono da direzioni specifiche.

Con lo standard 7.1, si aggiungono altri due altoparlanti posteriori, il cui posizionamento avviene in prossimità del punto in cui si trova l’ascoltatore: in questa maniera, si offre un’esperienza sonora ancor più avvolgente, che rende lo spettro sonoro ancor più tridimensionale rispetto a quanto raggiunto con il sistema precedente.

I maggiori attori su questo mercato sono Dolby e DTS, entrambi impegnati nello sviluppo di sistemi per la codifica dell’audio multicanale di tipo lossy: il primo è preponderante nel cinema e nell’home cinema, mentre che, entrambi sono presenti nell’ambito dei supporti multimediali come DVD, Laserdisc, HD DVD, Blu-Ray.

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Che cosa sono i media player

Nel corso degli ultimi anni, l’innovazione tecnologica ha portato con sé un gran numero di rivoluzioni, con il lancio di nuovi standard ed apparecchi, che hanno moltiplicato in maniera esponenziale le possibilità di godere della multimedialità in tantissimi ambiti, rendendo fruibili fotografie, video e musica ad alti livelli qualitativi.

La vera e propria innovazione in questo ambito è sicuramente arrivata con l’introduzione dei cosiddetti multimedia player, considerando come questo tipo di prodotto possa essere tanto di tipo software (all’interno dei PC ed altri dispositivi) quanto di natura hardware (gli apparecchi da collegare a televisioni,…).

Un multimedia player di tipo fisico, è generalmente dotato di diverse interfacce attraverso le quali si possono inserire diversi modelli di memoria digitale: supporti come schede MicroSD, USB, DVD e CD sono gli standard per quanto riguarda la raccolta e la conservazione dei dati di immagini, video e musica da riprodurre.

Per permettere ovviamente l’esperienza multimediale, questi apparecchi devono essere dotati di tutta una serie di speciali CODEC attraverso i quali gestire in maniera corretta il flusso di informazioni audio e video che ricevono, per poi decodificarli correttamente ed inviarli alle differenti uscite audio e video per la riproduzione.

La disponibilità di un gran numero di porte ed interfacce, collocate generalmente sul lato posteriore degli apparecchi, rende questi multimedia player dei veri e propri centri per interconnettere televisori, amplificatori, altoparlanti e registratori, creando così piattaforme perfette per qualunque fruizione multimediale.

La nuova frontiera dell’esperienza offerta dai multimedia player è rappresentata dai cosiddetti Ultra Mobile PC e anche dai Media Internet Tablet, giacché offrono l’accesso a grandi centri di materiale multimediale, come gli store online, che ampliano le possibilità di usufruire di contenuti per l’intrattenimento.

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Alla scoperta dell’Ultra HD Premium

La qualità delle immagini e del flusso video, in genere, è una caratteristica che nel corso degli ultimi anni è diventata sempre più oggetto di interesse da parte degli appassionati di cinema (e non solo): tra gli ultimi standard introdotti sul mercato, l’Ultra HD Premium si è saputo ritagliare un posto di primo piano.

Per cercare di creare uno standard però che potesse davvero rendere più entusiasmante e soddisfacente questo tipo di esperienza video, ottimizzando i processi di realizzazione del materiale audiovisivo e, nello stesso tempo, anche la produzione di supporti multimediali in grado di valorizzarne al meglio le caratteristiche.

Ecco che quindi si è arrivati a stabilire quali sono i parametri del display per questo standard, con una risoluzione delle immagini che deve essere pari a 3.840 x 2160 pixel, mentre che la profondità del colore delle stesse deve essere nell’ordine dei 10 bit e, ancora, la rappresentazione del colore deve essere del tipo Rec./BT. 2020.

Alla stessa stregua, per quanto riguarda la riproduzione del colore da parte dello schermo, bisogna offrire un valore superiore al 90 percento DCI-P3, o ancora, un valore HDR pari a 1.000 candele per metro quadro, per arrivare poi a un rapporto di contrasto dell’LCD pari a 20’000 e, nell’OLED, di 1’000’000.

Esaminando i dati che vi abbiamo riportato qui sopra, ci si rende conto di come, al di là dell’importanza del valore della luminosità massima, nel caso dell’Ultra HD Premium ci si sia preoccupati di stabilire dei limiti per quanto riguarda le differenze, ritenute in questo senso più rilevanti in rapporto ai valori assoluti.

Balza anche all’occhio, infine, il fatto che lo spazio colore sia Rec./BT. 2020, dovendo tuttavia precisare che, lo stesso, per una questione di economicità e di difficoltà nel superamento di alcune problematiche tecnologiche, sia stato limitato nella riproduzione colore dal valore del DCI-P3 (circa il 75% dello standard Rec./BT. 2020).